sabato 22 settembre 2012

"Glock" di Francesco Ravioli



GLOCK

Racconto 3° classificato al concorso Giallo Miele 2012



1.
Ho preso la padella e con il mestolo di legno ho messo il fricandò nel piatto fondo. Il profumo dei peperoni ha dato una scossa al mio torpore. Prima di versare il contenuto nel piatto, ho letto il nomedel fiore che vi è disegnato: Ophrys speculum, un’orchidea. Per chi non lo sapesse le orchidee non sono un fiore, ma una filosofia. Io non sono né un fiore e tantomeno un filosofo invece, per cui non riesco a coglierne il significato metafisico. Le rispetto, per motivi che non riguardano l’aspetto puramente estetico o legato alla difficoltà nella coltura, ma non me ne intendo. So per sentito dire tra l’altro  che  vengono utilizzate per scopi terapeutici, come emolliente consigliato nelle diarree infantili. Perché lo so?, chi lo sa…bisogna pur passare il tempo e nella nostra era moderna il personal computer ti dà la possibilità di farti una cultura sommaria sulla destra e sulla manca, sapendo un poco di tutto  e un cazzo di niente. Forse lo so perché di riffa o di raffa penso che la diarrea sia lo stato mentale che al momento mi accompagna, in questo luglio afoso. Sono un killer, professionista. Come tutte le persone di questo mondo ho una testa con capelli sopra, non comune a tutte le persone del mondo. Intendo non che la mia testa sia sopra la media di dimensione o con un quoziente intellettivo  alla Sharon Stone  (che  pare  lo abbia alto) ma che ho i capelli. Ciò non appartiene alla maggioranza degli uomini della mia età. Sono un killer, professionista, con il vizio di pensare che avere i capelli vuol dire avere le storia, per un uomo. La propria storia, a portata di 
specchio. Perché solo grazie ai capelli  è possibile il confronto tra quando tutto ti andava per il verso giusto, ed erano corvini come il sedere di un cavallo da dressage, e quando tutto ti va di traverso come un uovo sodo, e sono bianchi come un martini. Bianco come il mio colletto, da impiegato. Ho un’ossessione, posso dire che non sono le orchidee o la peperonata, ma il fatto che non posseggo la fortuna di quelli che riescono a fare il proprio amato mestiere tutte le mattine. Non ho la fortuna di potere pianificare le ferie o le festività soppresse, il natale e il cucù, che non vuol dire nulla se non la scelta di prendersi un permesso per farsi i fatti propri. Perché io non posso fare il killer tutti i giorni, purtroppo. Cosa che mi piacerebbe davvero, il sogno realizzato da quando ero ragazzo mentre leggevo Segretissimo. Io le ferie le devo pianificare in ufficio, la mia copertura, per non lasciare dei buchi sulle attività; mi farei un buco in testa a pensarci, se non fosse che la prima regola del killer è quella di non farsi ammazzare. Tanto meno dalla società moderna.

2.
Non poter esercitare giornalmente la professione  in cui sei il migliore ti fa diventare un po’ 
paranoico. Che io sia il migliore lo penso da solo, non c’è una classifica dei killer come all’Olimpiade: per fare certi mestieri bisogna essere egocentrici e bisogna sopravvivere, anche a costo di essere scortesi. Non soffermarsi a dire ad una vittima “Coraggio, fatti ammazzare”, ma sparare senza fiatare. Alcuni romantici lasciano un cadeau di ricordo, alla Occhi di Gatto, ma dopo un po’ muoiono. Io no. Io non sono un romantico e ci tengo a vedere i miei capelli diventare tutti bianchi. Sono uno che porta a casa il risultato ed ha come obiettivo solo di piacere a sé stesso. Se non sono egocentrico del resto mi accoppano.

3.
Dicevo della paranoia. Per dare un’idea sono diventato amante della Formula 1 perché ho scoperto che un  pilota si chiama Glock.  Tutt’altro che un campione, perciò  lasciai perdere. Non  tutte le Glock escono col buco. L’importante  però  è che la mia ce  l’abbia, il buco: quello della canna intendo.

4.
La mia psichiatra, che mi dà dello schizofrenico, mi consiglia di scrivere per alleviare le sofferenze di credersi un killer a tempo parziale; quando non ho davanti a me un obiettivo, da accoppare, il mio obiettivo si riduce a riempire delle pagine a mo’ di purgante, per purificare la mia mente obnubilata dai pensieri “malavitosi”.

5.
“La smetta di pensare di vivere a Marsiglia”, mi è solita dire la Carla. Come se s’ammazzasse solo a Marsiglia. Ma la vita è un parapiglia anche se non si vive a Marsiglia, così come ci sono bari anche fuori da Bari. Vai a farlo capire alla dottoressa.
Bella donna, sulla quarantina anche lei, i cui capelli definirei rosso magenta se non fossi daltonico. Magari sono castani castagna. Me l’ha consigliata Antonio, il mio unico vero amico, anche perché è mio fratello.  A lui ho confidato la mia  trama, raccontandogliela un po’ naif, per non scoprirmi troppo. Tanto sono certo che mi prende per eccentrico all’inverosimile e non  gli dà credito di un centesimo. E poi è riservato di natura. Mi ha sempre visto come l’anello di congiunzione tra l’uomo e il pagliaccio, uno nato per far ridere intendo, ma che non è mai riuscito a dare libero sfogo alla sua reale natura. Per un certo verso ci ha preso,  e preoccupato ha fatto quello che un buon fratello maggiore deve al minore:  aiutarlo. In questo caso mandandomi da una strizzacervelli amica sua. 
“Hermano, fammi ‘sto favore va. Manco la paghi che c’ho degli affari con quella. Sai, un po’ di qua un po’ di là, meglio tenere il piede in più scarpe”, e mi ha strizzato l’occhio. Diavolo pure lui. Mica me l’aspettavo che c’avesse di queste tresche. Da uno che fa il broker d’assicurazioni, al massimo, t’aspetti che gli si macchi la camicia di pezze d’ascella. 

6.
Buonanotte caro diario, ci vediamo domani, credo di aver scritto a sufficienza stasera, purtroppo mi stanco a fare quello di cui non sono capace e non sono un killer sentimentale, così come mi stanco di te, che dovrai essere la mia coperta di Linus.
Silenzio, poi: “Bang Bang!”.
“Cos’è successo?”.
Niente, creavo solo un po’ di suspense per me stesso…

7.
Siccome non sono uno scrittore, ti dovrai  sorbire ripetizioni, appiattimenti della storia  o veloci 
accelerate di ritmo - scusa sono sotto psicofarmaci - oppure a volte perifrasi quali “'l’tristo sacco /che merda fa di quel che si trangugia” per indicare lo stomaco ovvero volgari parolacce da scaricatore di fronte ad un porto. Quando ero a scuola ero forte nella scrittura dei temi, ma dovevo sviluppare il titolo per dare la mia opinione al maestro; che poi a lui non piacesse, è un’altra storia. Diceva sempre a mia madre che stavo alla genialità come un tonno sta al delfino… è chiaro? Ora, forse è vero che non ero un genio, ma un bambino deve per forza essere un genio per prendere sei in un saggio di italiano? A me piace più pensarmi come un pesce siluro, che non guarda in faccia a nessuno  quando deve arrivare alla sua preda. Leggende dicono che  fagociti anche cani, sommozzatori, scarpe  Prada e via dicendo. E’ quindi un pesce democratico, che non concede privilegi alla propria preda, quello di sentirsi predata perché importante. Diversa è la nostra società: anche e soprattutto nel mio mestiere, ci sono maschi alfa e maschi beta, di maschi omega è pieno il mondo ma non serve ammazzarli, la plebaglia fa sempre comodo ai capibranco. Quindi, non divaghiamo appunto, scusa il pluralia maiestatis, ma hai già capito che soggetto sono, anche perché te l’ho detto io. “Io!… il più lurido di tutti i pronomi!… I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero. Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta come tutti quelli che hanno i pidocchi…e nelle unghie, allora…ci ritrova i pronomi: i pronomi di persona”.
Ora, sei d’accordo con questa frase?, non l’ho scritta io naturalmente, e sottolineo il naturalmente oltreché l’io. Ma vorrei solleticare la  tua intelligenza. Ogni tanto quindi riporterò una citazione, per farti pensare a me anche quando ti avrò chiuso Diciamo che, visto che mi danno dello schizofrenico, voglio farti sentire perseguitato un po’ anche a te. Ma… non divaghiamo per davvero. La Carla mi ha consigliato di tenere un diarietto, una pagina al giorno, per scrivere il mio zibaldone di idee, con il preciso fine di aiutarmi a liberare la mente dall’idea di essere un killer inattivo e quindi frustrato. Il fatto che mi porta a farlo sul serio, lo scrivere intendo, è che io sono frustrato  per  davvero! Perché  oltre a non potere  esercitare il mio mestiere quotidianamente  lavoro sotto copertura per una banca, come analista interno. Questo comporta  alla mia frustrazione originale  anche la frustrazione tipica dell’impiegato medio, che definirei meglio come impiAgato, tanto per rendere l’idea.  La vita dell’impiAgato è come una sciarada monca in cui si deve scoprire solo quale lettera sostituire alla “X” nella parola “MerXa”. Non so se fila il ragionamento, ma ho accettato la scelta di scrivere. E poi una paginetta al giorno non è niente. E’ dura dover timbrare ogni giorno un cartellino se sai di essere più svelto di Terence Hill a maneggiare la colt. Che colpi potrebbero partire tutti i giorni da questa mano, la mano sinistra del diavolo, bang. Mi parte un sorriso ora, fugace come una passante che non rivedrai mai più. Meglio lasciare perdere i sogni, sennò dal nervoso mi parte un ponte.

8.
Certo  che scrivere  a ruota libera non  è poi tanto difficile.  Diverso è provare a descriversi. 
Fisicamente, caratterialmente, geomorfologicamente (certe persone hanno una pelle nel viso che sembra il lascito di un’eruzione del Teide), “Porta gli occhiali, il cappello com’è: ma è Jack, ecco chi è!”. Arrivare alla buona rappresentazione di Jack non è poca cosa, in questo caso, che poi non è un caso, ma più che altro un caos. Cambiando l’ordine degli addendi il risultato cambia eccome. Prova a dare un giudizio, anche solo con un aggettivo differente, e vedrai che tutto scorre diverso, dammi un aggettivo d’appoggio e solleverò il mondo del tuo giudizio:

Jack era alto. Barba rasata con i baffi alla siciliana, sguardo sciupato, i capelli neri con  alcuni 
ciuffi grigi aggiustati con una riga retrò, qualche chilo di troppo sul ventre.

Jack era bassetto. Barba rasata con i baffi alla siciliana, sguardo sciupato, i capelli neri con alcuni ciuffi grigi aggiustati con una riga retrò, qualche chilo di troppo sul ventre. 

Nel primo caso si parla di un uomo che ha la più importate caratteristica che gli fa possedere mezza bellezza. La restante parte della descrizione è un corredo di nozze, le nozze coi fichi secchi; non si dice l’età, ma dev’essere sulla quarantina, ha lo sguardo sciupato, perché sciupa le femmine o la vita  appresso a qualcosa d’altro non si sa. E’un esteta, amante di sé stesso, porta i baffi curati, questo è conclamato.  I capelli, ne abbiamo già parlato in precedenza.  Alto e sciupato dagli avvenimenti è già affascinate di per se. Bassetto e sciupato sembra la descrizione di un tappeto turco di un vecchio hamman. Ecco, l’uomo del secondo caso nella mia testa è per esempio un turco, stanco per la giornata passata a scaricare e caricare datteri al mercato, che porta i baffi sì, ma per tradizione e non per estetica e li ha alla siciliana perché è mezzo glabro sul viso. E’ sciupato come l’altro, ma dalla quotidianità. Entrambi hanno qualche chilo in più, ma io perché non si è mai visto un killer che beve latte, solo nel cinema. Il turco perché la sera mangia sino all’orlo per non moriresenza sapore. Di aglio, che tiene lontani i vampiri della vita.

9.
Sono un killer, professionista, il cui nome in codice è Jack. Il mio vero nome però è Giacomo Lai.

10.
Io voglio alzarmi ora, e voglio andare, andare ad Innisfree, e costruire là una capannuccia fatta d’argilla e vimini: nove filari e fave voglio averci, e un alveare, e vivere da solo nella radura dove ronza l’ape”. Quanto mi ha fatto compagnia la musicalità di questi versi di Yeats nel corso della mia vita. Io ape regina della mia famiglia, il più piccolo e il più venerato. Da sempre mangio miele a man bassa, forse nell’errore di credermi immortale come gli dei dell’antica Grecia, gli unici che potevano cibarsi di ambrosia a quei tempi. Io che ne ho bisogno davvero per sperare di alzarmi dal mio letto la mattina, e non svegliarmi invece in un letto di sangue. Seppur dolce, non è mai divino come il miele.

50.
Credo di non farcela più. Ho strappato tante pagine, un raptus. Due mesi di scritture mie personali. Ho il mio motivo oltre al solito, ed è tremendo. Sfogo: Mi sembra di scrivere il mio coccodrillo. La mia estrema unzione. Il mio eterno riposo, che donerai a me o Signore, e risplenda a lui il fuoco perpetuo delle fiamme blu dell’inferno.  Amon. Termino questo necrologio con la storpiatura dell’amen, una blasfemia forse, ma non voglio che “così sia”. Prosit anzi, alla mia salute dovrei brindare, che sono ancora nel fiore degli anni ma stanziato in una stanza buia e ancora distanziato dallo zio Sam, che non mi dice più “I want you” per fare il mio dovere, nemmeno ora che non è necessario un mandante. 

51.
Ho  preso l’accendino  ed ho  acceso il gas.  Una fiammata mi ha  cotto qualche pelo del braccio, espandendo un profumo di pelle di pollo abbrustolita che ha coperto quello del mio dopobarba denim, acre ed alcoolico per l’uomo che non deve chiedere mai. Io infatti non ho mai chiesto niente a nessuno, sono gli altri che mi cercano per fare fuori degli altri ancora. La pubblicità è la vera sesta arte. Abbassata la fiamma, mi sono reso conto di essere mortale  per davvero.  Ora lo so:  la mia recente disillusione è riuscita a togliermi il giubbetto antiproiettile e rendermi già vulnerato. Sono andato in bagno e ho preso un ferro per fare la maglia, comperato il giorno prima in un vecchio negozio in via Belmeloro. La ragazza che me l’ha venduto non mi ha chiesto il perché o il percome un uomo si è preso la briga di comperare un oggetto tipicamente utilizzato dalle donne. Una persona riservata. Non ce ne sono tante al giorno d’oggi. Ho appoggiato il ferro sul fornello, metallo contro metallo. Bene, il gioco è fatto, quanto è semplice farla finita se uno vuole farlo in silenzio, seduto sul divano di casa con della buona musica. Gian Maria Testa, il suo caldo sussurro e i pizzichi di chitarra mi è sembrato adatto. Rispettoso ed educato, o meglio edulcorante. E’ così semplice andare nei campi elisi che basta perforarsi un polmone con un ferro da maglia incandescente. Lo si può fare da soli, senza aiuto. Self made killer. E’ molto doloroso, una scelta per uomini veri, io infatti uso il denim, non per mezzeseghe che si rifanno le sopracciglia e poi si passano il Lasonil sopra perché gli brucia.

52.
Ho pensato a questo modo per inscenare un omicidio per la mia prossima terapia suggerita dalla Carla. Lo psicodramma. Stavo quasi per prenderci gusto alla fine, meno male che Testa ha finito di cantare e mi sono rimesso la testa sulle spalle. La condizione in cui mi trovo è proprio fuori dal tempo. Distortion.

53.
Quando Carla ha parlato dello psicodramma mi è venuto mezzo da ridere. Per rispetto del ruolo naturalmente hanno riso solo i miei occhi: I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi che tu venga all'ospedale o in prigione nei tuoi occhi porti sempre il sole.

54.
“E’ una terapia di gruppo ideata da J. Levi Moreno. Si inscena un gioco drammatico e si mira a sviluppare la spontaneità dei pazienti facendo emergere i loro vissuti personali, grazie a improvvisazioni sceniche. Il  "direttore del gioco" è lo psicoterapeuta che analizza tutto quanto accade”, mi ha spiegato la Carla. Sono proprio un ignorante, io al massimo potrei citare Levi Strauss, ovvero Michael J. Fox in “Ritorno al futuro”. La Carla finito di parlare si  è alzata  e si  è guardata i jeans soddisfatta, riflesso incondizionato o condizionato?

55.
“Giacomo, con questa ultima terapia possiamo considerare terminata la nostra analisi”, mi ha detto la Carla l’ultima volta che ci siamo visti. A me non sembrava tanto di stare meglio, ma è pur vero che la nostra “analisi” è tutta basata su una falsa rappresentazione della realtà; lei pensa che io sia un pazzo che crede di essere un killer, mentre io so di essere veramente un killer che sta diventando pazzo per altri motivi, soprattutto l’ultimo in ordine di tempo. “Alla messa in scena parteciperà oltre a me, in veste di direttore del gioco, anche un altro paziente che eserciterà il ruolo di vittima. E’ ben inteso che la sua diagnosi è di schizofrenia acuta”. Il tizio pare che abbia il timore di essere intercettato dalla CIA, non si sa per quale motivo, e che la sua vita sia continuamente “in pericolo”. SAS:  Sua Altezza Stronzissima. A pensarci bene mi fa una grande tristezza l’idea di ridurmi ad inscenare un finto omicidio,  “Anche i killer  piangono”,  da granguignolesco che ero ora sono diventato una marionetta nello stesso teatrino di un povero relitto della società umana, quintessenza del disgraziato.

56.
Avrei  ancora tante altre pagine da scrivere in questo diario, perché vada come vada con questo psicodramma la mia vita è oramai un dramma davvero, da prima pagina in Cronaca Vera, e delle pastiglie non posso più fare a meno per riuscire ad accettarmi per quello che sono, nemmeno per digerire questa ultima “frittata” che mi ha cucinato Antonio, amara come il radicchio trevigiano. A domani mondo, questa sera niente miele per me.
***
Rapporto n. 25021978 da parte dell’agente nome in codice Painkiller  - 20 Ottobre 2012, 
Milano

Si comunica l’esito positivo della missione affidatami. Stop.
Segue rapporto. Stop.

Giacomo Lai, killer freelance meglio conosciuto come “Jack”alias “Il bello del quartierino” alias 
“Filastrocca” di seguito “il soggetto”, catalogato dall’agenzia come - Rating pericolosità: AA+- , 
è stato terminato in data 19 cm alle ore 10:08. Il soggetto è stato  mantenuto sotto falsa  cura 
psichiatrica presso la nostra sede di copertura in via Gian Galeazzo Sforza 17, Milano dalla data del 16 Agosto 2012 sino alla data del termine sovra indicata. Lai Antonio, nostro agente segreto di stanza a Cinisello Balsamo e consanguineo del soggetto, è stato attore fattivo nella buona riuscita dell’esito della missione. Il Lai Antonio, in virtù delle elevate arti di persuasione apprese presso le nostre scuole di specializzazione in Indocina  e, in seconda istanza, della mal posta  fiducia che riponeva  il soggetto nel medesimo,  ha abilmente  spinto il soggetto  stesso  a sottoporsi a visite periodiche presso la nostra sede di via Gian Galeazzo Sforza 17, Milano, con il fine di alleviare le ininterrotte crisi di ansia di cui il soggetto ha confidato al nostro agente soffrire da anni. Il nostro collaboratore, con adamantino senso del dovere, non ha esitato a cogliere nelle confidenze del soggetto uno spiraglio per potere dare avvio alla missione nelle more poi inscenate, considerando agli effetti nullo anzi infangante ogni legame con il fratello alla luce delle apprese  di lui attività criminali. Nelle citate sedute, con la sottoscritta sotto mentite spoglie di medico psichiatra, è stata praticata al soggetto la tecnica dell’ipnosi zurlina, con il preciso obiettivo di  estrapolare al soggetto ogni informazione utile alle nostre necessità, per il bene di Patria e della continua pace mondiale. Non era difatti funzionale alla nostra missione attivarsi con il termine del soggetto senza operare un solo tentativo di manipolazione della di lui mente, per carpire ogni utile segreto finalizzato alla nostra sicurezza. Il tentativo, effettuato tramite ipnosi in prima istanza ed in seguito indotto tramite autoconfessione scritta,  è  malauguratamente naufragato ad un  “Senza esito”.
Appurato che la corteccia cerebrale del soggetto si è rivelata impenetrabile nonostante le più alte tecniche di manipolazione in nostro possesso, è stata mia precisa indicazione avviare il temine del soggetto. Nella data sopra indicata, il soggetto è stato condotto in un’ala dello studio di via Gian Galeazzo Sforza 17, Milano all’ uopo insonorizzata, ove è stato incoraggiato ad inscenare una simulazione di omicidio per psicodramma (tecnica psicologica che abbiamo ipotizzato essere funzionale ai nostri fini) di fronte alla sottoscritta e ad un secondo paziente, il nostro agente scelto Abdul Karim Sukur alias “Il turco” sotto mentite spoglie. Non appena il soggetto si è avvicinato al nostro agente scelto impugnando  un ferro da maglia con  il preciso  intento di operare il falso omicidio,  “il turco” ha estratto dalla fondina  una Beretta modello Px4 Storm SD Type F  fusto acciaio silenziata di ordinanza, con la quale ha  inferto al soggetto un colpo mortale  nel  centro dell’osso frontale del cranio. A temine avvenuto, l’agente  Lai Antonio ha effettuato una perlustrazione nell’appartamento del soggetto, non rilevando altro da porre agli atti se non l’Allegato 1 al rapporto in corso. Nulla di rilievo è stato altresì riscontrato negli abiti indossati dal soggetto il giorno del suo termine, se non un biglietto nella tasca interna della giacca che riportava la seguente frase: 

- Vedo la luna, vedo le stelle, vedo Caino che fa le frittelle, vedo la tavola apparecchiata,  vedo Caino che fa la “frittata” -

La carta, da analisi al microscopio, è risultata essere intrisa di acqua e di contenuto salino.


Allegato 1 – Scritti personali del soggetto 

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