martedì 18 settembre 2012

PURIFICAZIONE.

Racconto vincitore del concorso Giallo Miele 2012.








La signora Matteucci tornò dalla sua vacanza alle terme e non trovò suo marito ad accoglierla. Non che dopo oltre quarant’anni di matrimonio si aspettasse una festa a sorpresa, ma almeno una mano per portare dentro i bagagli poteva dargliela! Nessuno gli avrebbe risparmiato una bella ramanzina.
Entrò faticosamente in casa trascinando le valigie e lo chiamò. Lo chiamò nuovamente, più forte, poi controllò che non fosse in giardino. Probabilmente era in cantina a trafficare con le sue bottiglie di vino e non poteva sentirla. La donna aprì il frigorifero penosamente vuoto, come c’era da aspettarsi  da un uomo sposato dopo una settimana di assenza della moglie, trovò comunque una bottiglietta di thè freddo, si sedette sul divano e accese il televisore. Rimase perplessa quando, terminata la puntata dell’Eredità, suo marito non si presentò per la cena, e decise di andare a controllare.
Al centro della cantina vide un grosso sacco di plastica ben chiuso, di quelli che si usano per i rifiuti. La sagoma di ciò che conteneva non lasciava dubbi. La signora Matteucci corse verso il cadavere di suo marito, strappò il sacco disperatamente e urlò osservando inorridita le proprie mani.

Il nuovo arrivato, l’appuntato Vito Ragusa, indossava sempre gli stessi occhiali neri e aveva sempre la medesima espressione seria, imperturbabile, a tutte le ore, in tutte le situazioni.  Come Sylvester Stallone quando recita. Sembrava anche l’unico di tutta la Compagnia a  non essere distratto dalla procacità del Maresciallo Stefania Abbondanti e probabilmente era per questo che l’avevano affiancato a lei.
“Il Capitano Zamboni non si occupa direttamente dei casi di omicidio?” Domandò il giovane carabiniere.
“Oh, sì.” Rispose la donna. “Ma ha un problema con i cadaveri: se ne vede uno si sente male, vomita, sviene. Non è uno spettacolo consigliabile.”
“Non sarà peggio che vedere la scena di un omicidio.”
“Me lo dirà la prima volta che le toccherà di portare la divisa in lavanderia.”
Ragusa non rispose. Fermò l’auto nei pressi della villetta dei Matteucci e scese, seguendo il Maresciallo Abbondanti nell’edificio. Un infermiere li accolse: “Signori.”
“Avete spostato il corpo? La moglie dove si trova?” Stefania si guardava attorno per capire se ci fossero indizi di quel che era successo.
“Abbiamo solo controllato che fosse effettivamente morto. La signora si trova in ospedale, è sotto shock. Il corpo è in cantina, vi accompagno.”
Scesero una rampa di scale non molto ben illuminata. Il cadavere era sdraiato sul pavimento, ancora per metà dentro il sacco. Il Maresciallo si mosse decisa, per esaminarlo da vicino.
“Faccia attenzione!” Esclamò troppo tardi l’infermiere.
Stefania Abbondanti scivolò battendo il sedere a terra e proseguì slittando su una sostanza viscosa fino a trovarsi sdraiata accanto al morto. Alzò il busto di scatto e gridò acutamente scuotendo le mani: “Oddio che schifo, cos’è questa roba? Toglietemela.”
“Sembrerebbe miele, Maresciallo.” Arguì Ragusa, dritto in piedi sull’ultimo gradino della scala, con il cappello sotto braccio e gli occhiali neri  nella penombra.

“È piuttosto insolito.” Ammise il Capitano Zamboni. “Mi faccia capire bene, Abbondanti. Il cadavere era immerso nel miele, dentro un sacco per la spazzatura?”
“Sissignore. Quando la moglie della vittima ha aperto il sacco, il miele si è sparso per tutta la cantina.”
“E il maresciallo c’è scivolata sopra, inzaccherandosi tutta.” Aggiunse Ragusa.
“Ho saputo.” Affermò Zamboni con la sua solita, paciosa faccia da schiaffi. “A quanto pare gran parte del personale della Compagnia è solleticato dal pensiero del Maresciallo Abbondanti tutto ricoperto di miele.”
La ragazza si infiammò in volto e sbottò: “Ho fatto una brutta caduta e sono ancora dolorante! Invece di fantasticare su certe cose i miei colleghi dovrebbero pensare alle mie povere chiappe!”
Ragusa fissò i suoi occhiali neri verso la collega, il sorriso sornione di Zamboni si allargò ancora di più, Stefania Abbondanti stavolta sbiancò: “Cioè… Intendevo dire… non in quel senso… Io…”
“Ho capito, Abbondanti.” Disse il Capitano facendosi serio.
“Perché mai l’assassino si è preso la briga di mettere il cadavere nel miele? Cosa significa?” Senza aspettare una risposta aggiunse: “Maresciallo, avvisi il Professor Deangeli che stiamo andando a fargli visita.”

Aldo Deangeli era un professore di storia con la passione dell’apicoltura. Tutti in paese prima o poi avevano comprato un barattolo di miele da lui e avevano ascoltato un suo aneddoto sulle api e sulla loro importanza, Zamboni compreso.
Arrivarono accolti dall’abbaiare dei cani. “Non vi preoccupate, sono innocui.” Disse l’uomo ai carabinieri che stavano scendendo dall’auto.
“Che carini, quanti ne avete?” Domandò la Abbondanti carezzando un grosso bastardone che le si era avvicinato.
“Questi tre, più uno piccolino che teniamo in casa. Non abbiamo figli e loro ci fanno tanta compagnia. Entrate pure. Al telefono mi avete detto che vi servono informazioni sul miele, ha a che fare con l’uccisione di Matteucci?”
“Sì, speriamo che lei possa aiutarci.” Rispose Zamboni varcando la porta.
“Mi avete trovato per puro caso. Sono tornato stamane da Pisa, dove ho tenuto una serie di lezioni. Ma lo sa che io e Matteucci eravamo compagni di scuola alle elementari. Pensi che l’ho incontrato due settimane fa, dopo anni che non ci vedevamo.”
“Ma davvero?”
“Già, prima di partire ho portato mia moglie fuori a cena. Al ristorante c’erano anche Matteucci e Tarroni, un altro compagno di scuola; loro sono sempre stati due amiconi fin da piccoli. Mi hanno salutato, a fatica però, anche perché erano lì con i figli e una gran nidiata di nipotini che facevano una tale confusione.”
“Gli ultimi momenti felici. Nessuno se ne rende mai conto in questi casi. Professore, il corpo di Matteucci è stato sommerso nel miele, mi chiedevo quale significato simbolico potrebbe avere.”
“Interessante!” Esclamò l’accademico. “E anche terribile. Gli egiziani usavano il miele, mescolato alla propoli, per imbalsamare i loro morti. Presso gli antichi greci, l’ambrosia era considerato assieme al nettare il nutrimento degli dei e produceva sangue divino, donando immortalità ed eterna giovinezza. Entrambi gli alimenti venivano preparati da Demetra, ghiotta di miele, con l’aiuto delle sue sacerdotesse, chiamate per questo Melisse.”
L’uomo smise di parlare e si rivolse alla moglie che stava quietamente seduta con il suo maltese sulle ginocchia: “Lidia, tu conosci già tutte queste storie, vorresti portare un poco di ricotta con quella mia nuova produzione? Vorrei farla assaggiare ai nostri ospiti.”
L’elegante signora si alzò poggiando la mano sulla spalla del marito e sorridendo si avviò in cucina, seguita dal suo cagnolino bianco.
“Ma dicevo, il valore simbolico del miele: ci sono riferimenti molto interessanti nella cultura orientale. Nei Veda il miele è considerato elemento di fertilità, portatore di vita, il grande oceano di sperma, principio fecondatore. Nell’antica cultura giapponese, esso è simbolo della terra e del centro, tanto che tutti gli alimenti dati all’Imperatore, trascendente figura divina, erano conditi con il miele.”
Il professore fece una breve pausa compiaciuta, quindi proseguì: “Ma non credo che queste cose vi siano utili. Al contrario vi interesserà sapere che nell’antica Roma i seguaci del culto di Mitra erano gerarchicamente divisi in vari gradi di iniziazione: i Leoni di Mitra erano un grado intermedio, si occupavano del fuoco degli altari e dovevano preservare la mani pure da ogni atto che rechi dolore, danno o infamia. Poiché erano legati al fuoco purificatore, durante le cerimonie potevano adoperare per l’abluzione solo il miele, essendo l’acqua notoriamente nemica del fuoco. Così con esso si purificavano le mani e la lingua dagli elementi impuri e peccaminosi.”
“Così l’assassino avrebbe purificato il povero Matteucci…” Commentò Stefania Abbondanti.
Rientrò la signora Lidia con un vassoio e lo appoggiò in tavola. “Ecco qua.” Disse la donna. “L’ultimo prodotto del nostro alveare, aromatizzato all’anice.”
“Sembra ottimo.” Constatò il Capitano allungando bramosamente la mano verso una ciotola.
“Lo può ben dire.” Affermò orgogliosamente Deangeli. “Ritengo che ogni cosa, cosparsa di miele, acquisisca una grande sensualità.”
Il Capitano alzò un sopracciglio in direzione della Abbondanti, che non riuscì a evitare un certo rossore sulle guance.
“Sto parlando di cibo, naturalmente.” Continuò il Professore con un lieve sorriso ironico, dopo aver notato la scena. La ragazza frugò nervosamente  nella sua borsa e ne estrasse un barattolino: “Ho portato un campione del miele che ricopriva la vittima, vuole darci un’occhiata?”
Il Professor Deangeli esaminò la sostanza facendola colare da un cucchiaino. “Piuttosto liquido e trasparente, ambrato, quasi dorato. Dall’odore direi che è miele di marruca. Dovrei assaggiarlo per esserne sicuro, ma temo che il suo retrogusto di cadavere non sia di mio gradimento.”
Zamboni piantò lì una sonora risata, domandò: “Dove lo vendono?” Poi infilò in bocca un'altra grossa forchettata di ricotta.
“È abbastanza raro. Viene prodotto quasi esclusivamente in toscana e solo nelle annate propizie.”

L’indomani, il Maresciallo Abbondanti aveva fatto un giro di telefonate e non ci aveva messo molto a scoprire che una grossa quantità di miele di marruca era stata acquistata da Paolo Tarroni pochi giorni prima.
“Tarroni? Quello che era a cena con la vittima? L’amicone del Matteucci?” Domandò Zamboni alzando lo sguardo dal dossier del caso.
“Proprio lui. Ho mandato Ragusa e Azzolini a prenderlo per poterlo interrogare.”
“Bene. Stavo esaminando questa relazione: non ci sono segni di scasso, l’assassino è entrato con il consenso della vittima, e l’ha soffocata, probabilmente con un sacchetto di plastica. Vedo che il corpo ha una specie di bruciatura sulla faccia. Da dove può venire?”
“Si direbbe il segno di un taser, Signore. Uno strumento che paralizza le persone tramite una forte scarica elettrica.”
“Già. Quindi l’assassino non era sicuro di poter sopraffare un uomo di oltre sessant’anni. Mi pare che non vendano questa roba in Italia.”
“Si acquista abbastanza facilmente su internet.”
“Capisco. E non abbiamo testimonianze utili. A quanto pare Tarroni è il nostro unico sospettato.”
“Non sembra convinto, Signore.”
“Di solito quando due amici di vecchia data si ammazzano, lo fanno senza tante storie.”
Mentre Zamboni rifletteva su queste parole, il suo telefono squillò: Ragusa e Azzolini avevano trovato Paolo Tarroni nel suo appartamento, chiuso dentro un sacco pieno di miele.

Zamboni annunciò che sarebbe andato a tagliarsi i capelli.
Stefania Abbondanti sorrise: “Non spettegolate troppo su di me…” Ma sapeva che quel giorno si sarebbe parlato solo delle due vittime. Il Capitano aveva bisogno di raccogliere informazioni su di loro e nessuno poteva saperne più di Enrico il barbiere.
“Capitano, io e quei due abbiamo fatto i giovani insieme! Che brutta fine.” Affermò l’uomo mentre tagliava i capelli al carabiniere. “Li chiamavamo Porfirio e Rubirosa, perché avevano sempre le ragazze più belle. Anche dopo che si sono sposati non hanno mica smesso di fare i playboy. Poi dopo cinque o sei anni si sono calmati anche loro.”
“Si sono calmati?” Chiese il Capitano.
“Eh sì. Si vede che le mogli hanno cominciato a dire davvero. Hanno smesso tutti e due di fare i galletti.”
“Tarroni era vedovo. Magari aveva ricominciato a frequentare qualche donna.”
“Non credo mica. Due anni fa ha subito una certa operazione che non consente più di fare la ginnastica artistica. Quei due lì erano tipi tranquilli, si godevano la pensione; più che altro gli piaceva mangiare bene, e tanto.”
“Non sono morti di indigestione, però.” Commentò amaramente Zamboni.
“Ad ogni modo sarà meglio che lo troviate in fretta questo assassino, prima che Bruno Vespa faccia un plastico del paese. E poi la gente ha paura: Edda, la vecchia mammana, si è fatta accompagnare a Vicenza, a casa dei suoi figli. Figuriamoci che non aveva voluto uscire di casa neanche quella volta che avevano evacuato la sua strada per una fuga di gas. doveva proprio essere terrorizzata. E i miei clienti cominciano a dire che c’è un serial killer in giro.”

Il ragazzo delle pizze suonò in caserma e fece la sua consegna.
Zamboni non aveva intenzione di riposare finché non avesse trovato almeno una pista da seguire, un sospettato, un ipotetico movente. Naturalmente non avrebbe concesso di riposare nemmeno al suo Maresciallo preferito.
“Gorgonzola e peperoni? Abbondanti, questa non mi sembra una pizza da ragazze.”
“Conosce molte ragazze, Capitano?”
“Ragazze di una volta.” Sorrise lui. “In paese dicono che è opera di un serial killer.”
“I due omicidi sono identici: l’assassino si fa aprire la porta, immobilizza la vittima con un taser, la soffoca e la chiude in un sacco pieno di miele. Però i serial killer di solito colpiscono vittime a caso, questi due sono collegati.”
“Cos’è che li collega? Erano amici, ma non abbiamo trovato niente che possa anche lontanamente giustificare una volontà omicida. Avete scoperto perché Tarroni aveva comprato tutto quel miele?”
“Uno dei suoi figli dice che voleva regalarne un barattolo a testa ai parenti in occasione della cresima della nipotina. Bomboniere insomma.”
“Una cresima che lui non vedrà. Figli e nipoti sono una gioia che bisogna godersi ogni volta che si può. Che mi dite dei sacchi? Erano del Tarroni anche quelli?”
“Non ne abbiamo trovati di uguali in nessuna delle due abitazioni.”
“Quindi l’assassino se li è portati da casa. Ha ucciso il Tarroni già con l’intenzione di metterlo dentro un sacco,  poi ha visto il miele e ha deciso di purificare la vittima, conservandone metà per il Matteucci. Cosa voleva dire? Perché li ha infilati lì dentro?”
“Li odiava, li considerava spazzatura?”
Zamboni scosse il capo. “In questo caso sarebbe stato sufficiente ammazzarli. È qualcosa di più profondo. Qualcosa di antico, probabilmente: sembra che i due fossero diventati tutti casa, famiglia e ristorante.”
“Diventati?”
“Me li hanno descritti come donnaioli impenitenti, da giovani.”
“Potrebbe essere una donna dal cuore infranto? Dopo tutto questo tempo? Che la passione si sia riaccesa nel rivedere uno dei due?”
Stefania Abbondanti aveva notato quello sguardo negli occhi del Capitano, lo sguardo che aveva quando un’idea gli attraversava la mente e non riusciva ad afferrarla. Sapeva che il cervello di Zamboni stava elaborando un’ipotesi, ma che aveva la necessità di essere aiutato, perciò continuò a parlare nella speranza di dargli qualche spunto utile. “Forse un figlio illegittimo. No, in quel caso avrebbe ammazzato solo uno dei due. Rimane ancora l’ipotesi del culto di Mitra. Se vuole posso fare una ricerca per vedere se esiste qualche pazzoide che lo pratica, anche se ne dubito: io non ne avevo mai sentito parlare prima d’ora.”
“Io nemmeno. Sono scettico su questa pista, ma non abbiamo altro. Magari riusciamo a restringere il campo dei sospettati. Coloro che hanno conoscenze così specifiche devono essere piuttosto rari .”
Il Capitano appoggiò nel piatto la fetta di pizza che stava portando alla bocca, meditò ancora un attimo in silenzio, poi il suo sguardo mutò: “Abbondanti, lei sa cos’è una mammana?”
“Non ne sono sicura, Signore.”
“Già, lei è molto giovane. Chiami la Compagnia di Vicenza, che fermino la signora Edda Forti. Inoltre deve procurarmi una cartella clinica.”

Albeggiava, Il Capitano Zamboni finì di sorseggiare un caffè; era di umore malinconico quando si sedette di fronte alla donna. Sfogliò la cartella clinica, tirò un sospiro profondo: “Dovremo farle qualche domanda, se vuole può chiamare un avvocato, in ogni caso dovremo trattenerla qui finché non sarà terminata la perquisizione di casa sua.”
“Non vi farò perdere tempo. Il taser è dentro una scatola di scarpe, nell’armadio della mia stanza da letto.”
“È una confessione?”
La moglie del Professor Deangeli chiuse gli occhi. Il suo volto bello e altero, sebbene segnato dall’età, tradì solo per un attimo il dolore che provava. “Non ho mai sperato di sfuggire alla giustizia, mi dispiace solo di non aver finito il lavoro.”
“Si riferisce a Edda? Voleva uccidere anche lei?”
“Era stata il loro strumento. Avevo conservato un poco di miele anche per lei. Sì, la volevo ammazzare.”
“Perché l’aveva resa sterile?”
“Proprio così. Fu lei a farmi quell’operazione, a togliermi mio figlio e la possibilità di averne.”
“Era rimasta incinta di Matteucci e Tarroni aveva coperto il suo amico? O viceversa?”
“Chi lo sa?” Sorrise dolorosamente la donna. “Erano belli, sapevano dire le cose giuste e io avevo poco meno di diciotto anni. Finimmo tutti e tre nello stesso letto. Quando seppero che aspettavo un bambino sembravano impazziti. Avevano delle famiglie, delle mogli, mi urlarono contro con una tale veemenza che non fui capace di oppormi. Abortire era ancora illegale, la legge uscì un anno dopo: mi portarono da Edda la mammana. Mi infilò quei ferri orribili, tirò fuori il feto e lo chiuse in un sacco di plastica.”
La donna fu costretta a smettere di parlare, perché il suo spirito era troppo lacerato dal rivivere quel ricordo.
Zamboni posò lo sguardo sulla cartella clinica: “In seguito fu ricoverata in ospedale, a causa di quell’aborto clandestino rischiò la vita. Si salvò ma rimase sterile.“
Lidia Deangeli strinse le labbra, tenendo le mani sulle ginocchia contrite e continuò: “Ho vissuto per anni con questo dolore dentro, con il rimpianto della vita che avrei potuto vivere. Quella sera, quando li ho visti al ristorante, felici, incuranti, con i loro figli e i loro nipoti, è esploso il mio odio. La loro gioia ha innescato il mio rancore. Ho atteso che mio marito partisse, ho ordinato un taser tramite un sito internet russo, appena mi è arrivato sono andata da Tarroni e l’ho ucciso. L’ho messo in un sacco della spazzatura: doveva finire come mio figlio. La stessa notte ho ucciso anche Matteucci.”
“Lo sa, è stato il miele a farmi sospettare di lei. Poche persone potevano sapere che il miele è considerato un elemento purificatore, e lei ne aveva di certo sentito parlare da suo marito. Partendo da questa ipotesi, mi sono chiesto quale rapporto poteva esserci tra lei e le due vittime: vista la fama dei due, da giovani potevate essere stati amanti, ma il movente? Sapevo che lei non aveva figli, e che Edda la mammana era fuggita in preda alla paura. La cartella clinica ha dato una prima conferma della mia ipotesi, e stanotte Edda ha raccontato tutta la storia ai miei colleghi di Vicenza.”
“Gìà, il miele. L’ho visto, ammucchiato sul tavolo, e mi sono venuti in mente i racconti di mio marito, ma non volevo purificarli, quei due. No, che vadano all’inferno immondi come sono. Il miele è anche un simbolo di fertilità: loro avevano rubato la mia, che se la tenessero anche da morti.”




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